Sacare, machi, zocculari
Gli abitanti di Casarano non hanno un soprannome unico che in modo inequivocabile li caratterizzi. I Melissanesi li apostrofano con il termine ingiurioso di «sacàre» (serpi). C’è in questo epiteto una ragione storica. Nel 1885 gli abitanti di Melissano, legati per diritto feudale alle sorti del Comune di Taviano, chiesero ed ottennero l’aggregazione a Casarano. Ma il fiorente sviluppo socio-economico della frazione, legato all’industria enologica, sollecitò la formazione di una classe agraria operosa, perciò insofferente anche alla tutela di Casarano, e pronta a rivendicare a gran voce l’autonomia amministrativa. Casarano, che delle esigenze della frazione si era sempre disinteressata, quando questa cominciò a dimostrare vivacità economica si dette improvvisamente da fare per trarre dalla situazione il maggior vantaggio possibile. E la cosa non garbò ai Melissanesi.
In questa battaglia di interessi, la figura certamente più rappresentativa fu quella di Luigi Corvaglia, filosofo e letterato melissanese, il quale per definire l’avidità dei casaranesi utilizzò lo stemma civico di quel paese. Questo riproduce una quercia con una serpe che sale lungo il tronco, e Corvaglia dette a questi simboli una interpretazione non certamente lusinghiera: la serpe, «sacàra», saliva dal basso verso l’alto per raggiungere i nidi sulla chioma dell’albero e divorare gli uccelli appena nati. Evidente allusione, questa, all’ingordigia dei Casaranesi in tutto simili alla loro «sacàra»; e naturalmente gli uccellini erano i Melissanesi. Lo stesso nome del paese sarebbe derivato da quello del rettile, per metatesi: «sacàra», alias «casàra», da cui Casarano.
Quando, però, l’autonomia amministrativa fu raggiunta nel 1921 l’astio tra i due Comuni cessò e l’appellativo «sacàra» finì con l’essere dimenticato.
Una maldicenza popolare definisce invece i Casaranesi «machi» e «zocculàri». «Macu» è un termine di derivazione latina, proviene da «maccus», che era la maschera fissa del teatro popolare, la quale rappresentava lo sciocco del gruppo, il personaggio eternamente vittima di scherzi ai quali non sapeva reagire. Perciò «machi» sta a significare gente stupida. «Zocculgri» (da «z6ccula», topaccio) indica invece gente imbrogliona e scaltra.
Anche Casaranello, l’antico nucleo di cui oggi non è rimasta che l’importantissima chiesa di Santa Maria di Casaranello, non è sfuggito al motteggio, e così si diceva: «L’arciprete de Casaraniedhu /scia a ncadhu alla tuzzùia / scia sunandu lu tamburriedhu / l’arciprete de Casaraniedhu» (L arciprete di Casaranello, andava a spasso in groppa ad un grillo – «tuzzùia» – e andava suonando il tamburello).
Alcuni soprannomi individuali
Facci te rosa (riferito a donna ritenuta bella come una rosa), Fazza Ddiu (tipica esclamazione dei contadini, che si rivolge- vano a Dio perché li tenesse lontani dalle calamità atmosferiche), Mascisa (da maggese, terreno lavorato di solito in maggio, ma poi non seminato; lasciato, quindi, a riposo per una nuova coltura), Palummharese (derivante da un quartiere di Casarano dove, nei tempi passati, si trovava una grande colombaia), Spinéddra (piccola spina; riferito a gente piuttosto pungente nel giudicare il prossimo), Stuppéddhu (unità di misura equivalente a 4,5 kg di olive, pertanto non molto grande; ir soprannome fu attribuito a gente di statura piuttosto bassa), Zzoddhru (letteralmente zolla di terra; sta ad indicare la gente che stava tutto il giorno nei campi).
Ed ancora: Barlabà, Bruciata, Canesca, Capi-te-lana, Carota, Faticantazzu, Liarga-Stringi, Mazzacurta, Mmacca, Petrusina, Perdisciurnate, Picamùzza, Pizzica-donne, Scafagnùtti, Trenta fave, Zangata.